Tecnologie e Ricerca per i Restauratori Senza Frontiere

Sembrerebbe voluta la somiglianza del nome che si è imposta la neonata associazione Restauratori Senza Frontiere (RSF), per affinità ai gruppi associativi in campo medico che nei decenni scorsi hanno riscosso in pari misura risonanza e critiche per il loro operato nel mondo. Un’associazione senza scopo di lucro che si pone obiettivi molto simili a quelli delle campagne mediche, per riconoscere e salvare stavolta le tracce della presenza umana attraverso i secoli. Nasce in Italia il luogo in cui si matura competenza attraverso esperienze e sperimentazioni a vari livelli, il cui corso spesso, se non mosso sull’arte italiana, rimane quasi sconosciuto. Neanche Archeomatica, nonostante si sia proposta come veicolo di selezione informativa, raggiunge la globalità, anche intermittente, delle sperimentazioni compiute per testare l’uso di tecnologie, sia consolidate sia avanzate, per la salvaguardia dei beni culturali. In Italia la comunità scientifica è un crogiuolo in cui si fondono attività, sperimentazioni e ricerche che si concretizzano lasciando libertà ai ricercatori di individuare le linee che ritengono transitive al futuro, senza che il controllo limitante dovuto alla carenza sintomatica di mezzi abbia spinto ad ottimizzare le risorse più disparatamente veicolate. Dovrebbe essere possibile soffermarsi più spesso sulla raccolta dei dati di investimento e rilanciare strategicamente tecnologie ed inesplorato.

Quello che Archeomatica mostra è una piccola parte dei controlli incrociati, delle verifiche e dei test di lavoro a raffronto, che si succedono nella realtà verso l’Italia e dall’Italia, spesso pubblicati solo al di fuori della comunità italiana. A volte è evidente come la scarsa confrontabilità su canali paralleli produca inutili ripetizioni, altre volte invece l’indisciplinata o microscopica esplorazione appare esserne il valore ottimale. Sta di fatto che in questo momento le tecnologie italiane per i beni culturali sono considerate le più sviluppate al mondo, forse non meritatamente; un riconoscimento molto vicino a quello del marchio Ferrari, conquistato a fatica con sforzo compiuto da altre generazioni e da chi ne continua a tutti i livelli il lavoro, in ogni stratificazione della memoria storica, nei criteri di manutenzione, documentazione e conservazione conseguiti dalle indagini di risultato. L’impressione è che stia sfuggendo il picco conquistato per l’assenza di dialogo, d’indirizzo e di coordinamento tra la didattica, la ricerca e il mondo del lavoro. E’ corretta nell’impostazione la conduzione partecipata che distingue la ricerca di settore, ma è altrettanto rilevante dare spazio a chi è guidato da interessi finalizzati, e non solo alla leadership a se stante, di settori occupazionali che sono stati identificati come trainanti di risorse economico-produttive. Una gestione partecipata non dovrebbe travalicare la ricerca individuale come privatistica, affondando il rapporto collaborativo di équipe e di interscambio che nel secolo scorso ne ha caratterizzato il primato.

Rivolgendosi a chi adesso si avvicina all’arco della ricerca nelle professioni nell’albo dei beni culturali, lo stimolo dovrebbe essere verso ricerche che ad un primo approccio potrebbero sembrare rigorose quanto senza esito, o con esito ristretto a campi limitati, emarginati dai risultati apparenti nei filoni allargati ad iniziative programmatiche, senza lasciarsi abbattere da risultati non così evidenti per ognuno o all’altezza sperata. Suggerirei invece di seguire con proprio estro, affrontando le iniziative inesplorate come le correnti anche troppo esplorate, alla luce delle risultanze vicine e lontane del lavoro svolto da altri nostri colleghi, opinandole. Solo così ne sarebbe preservata la portata di conoscenza acquisita e di metodo accolto sommerso quanto emergente.

All’associazione RSF e con l’associazione proporrei di essere ambasciatori di questa capacità italiana, raggiunta testando strumenti che elevino il valore di ciascuno attraverso la pluralità del contesto e la critica più che meritata alla competenza disarticolata dalle istituzioni, specialmente dove si voglia interpretare la storia recente degli affidamenti a privati di appalti sui monumenti antichi e storici come un’intenzionalità volta a fare a meno proprio dei restauratori. Preparazione che deve avere invece il risalto della champions league prima di tutto in Italia, poiché è il nostro Stato fra quelli che più hanno investito nella palestra internazionale della ricerca e nel laboratorio storico-archeologico tra i più concentrati e massivi al mondo. Non possono venire a mancare dove c’è più bisogno dei checkup dei monumenti e, in questa attività di diagnostica, della tecnologia più esatta in kit, appositamente studiata per e su questo territorio. Devono essere esortati ed incoraggiati a pensare che c’è bisogno di loro anche all’interno delle nostre frontiere. Si lavora molto per problemi economici indirizzando la finalizzazione di export del know-how di risultato, lasciando non presidiato il campo italiano: Pompei e il Colosseo ne esplicano l’emblematicità positiva e negativa al tempo stesso.

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