Fino al 6 ottobre 2024 alla Galleria d’arte moderna di Catania è aperta la mostra ‘Banksy sbarca a Catania’, curata da Sabina De Gregori per Metamorfosi Eventi, con catalogo edito da Demetra Promotion di Gaetano Sanfilippo e organizzata da Roberto Sanfilippo. Nell’allestimento e nella cura della mostra, che sarebbe bello rivedere a Roma, non ha avuto personalmente parte l’artista, un artista che certo non ha mai bussato alla porta dei principali musei nel mondo che lo hanno esposto, ma c’entrano solo le sue opere: i loro prestatori, infatti, sono collezionisti privati, che, non essendo da meno del loro più amato pittore, hanno preferito tenere segreta la propria identità.
Del resto, per sua natura, la Street Art non si può spostare e l’idea brillante dell’installazione è di creare una memoria dell'’iniziativa privata di collezionisti: conservarla e trasmetterla al futuro con una cronistoria dei pezzi asportati dalla strada, finché indelebile in un interno. Un trasporto conservativo, ultima fase di un restauro in piena regola, che la destina alla conservazione nel tempo, asportando il muro che la ospita, consuetudine nuova per un'arte più che mai effimera. Avevano ragione forse i writers a dire, ribaltando, al contrario nei colori e nello stile dell'astrattismo l'espressione della scrittura murale: ‘...almeno i treni che coloriamo viaggiano da soli incontro al loro pubblico in tutto il mondo.’ Ma non vi illudete, nemmeno questa, una rischiosissima grafica, perché censurata e illegale, è arte anonima e anche se non siglasse le sue opere, le creazioni del pittore di Bristol sarebbero sempre sotto i nostri occhi, più che segni, ‘signatures’ riconoscibili e amate da tutti. Se il tratto di stile è la vignetta, la striscia invasa dal colore puro, rosso, turchino, verde o arancione, i contenuti sono troppo profondi e sconvolgenti per non essere letti e perfino scritti, tramandati, anche solo camminando nel museo come avremmo fatto per strada.
E’ il vero fantastico del cantastorie, del menestrello medievale, questa volta, a portare la strada nel museo, se il pittore non può regalarla perché non gli appartiene, anche se il suo anonimato non è più tale che per pochi e la sua vera identità è ormai alla ribalta della stampa. Chi ha urlato ai graffiti che ‘deturpano’ i muri più desolati, degradati e allucinanti o magari da parte sua ha ridipinto nel frattempo sopra gli artisti più grandi del passato nell’intento di preservarli, o plastificando industrialmente la realtà che ci circonda, farebbe meglio, attraverso questa preziosissima, intima esposizione, a scoprire da vicino la tecnologia dei favolosi graffiti realizzati da uno dei più grandi artisti contemporanei, dagli Anni Ottanta in poi. Perché molto spesso i suoi pigmenti non sono affatto indelebili, si tratta infatti di spray ad acqua, che nessun danno potrebbero fare all’ambiente in cui viviamo e che ci invitano a leggere ed ascoltare la strada e la sua voce più personale e complessa, anche quando i nostri pensieri, un passo dietro l’altro, scandiscono il tempo che scorre e respirano soltanto l’energia e l’ossigeno, che sono sopra di noi. Senza romperlo, è dato un altro futuro a quel muro, che sarebbe stato da abbattere ed il cui enigma anche con Banksy è stato ed è la flagranza che avvicina i nostri ricordi più remoti agli universi conoscibili che giganteggiano sopra le nostre teste.